In Hotel di Tambour a cura di A. Ruffino, Torino, Allemandi 2016

“ Le zanzare salivano
Le umide pareti del tempo 
Metalliche nella notte…”.

Così scriveva lo scultore poeta nella fiaba Il Sogno del 1994. Dopo averle evocate in versi, intorno al 2000. Tamburelli inizia a dedicare una serie di sculture alla regina del paesaggio di risaia: la zanzara

Le Zanzare di Tamburelli 
Gad Lerner
Che Giovanni Tamburelli abbia fondato un’estetica delle zanzare conferma i suoi indubbi meriti artistici ma non intenerisce il mio cuore.
Apprezzo i suoi insetti giganteschi e trovo perfino armoniose le zampe attraverso cui li inchioda nel terreno, impedendo loro di sciamare per decine di chilometri, generare larve a milioni, trasformarsi da parassiti di risaia in guerriglieri di collina, non senza un’evoluzione darwiniana che li attrezza come untori di nuove malattie esotiche, incapace di porre limiti al peggio.
Il piemontese d’antan preferisce sfogare le sue paure sui nuovi venuti umani di recente immigrazione. Manifestando viceversa un fatalismo indulgente nei confronti delle zanzare killer mutanti. A tal punto gli e’ consueto sopportare minacce oscene alla sua salute, dall’amo Anto ai pesticidi. Troverà perfino poesia in quel bzzzz.
Le zanzare di Giovanni Tamburelli sono invece meravigliosamente silenziose, eleganti. Rivelano la modernità del fenomeno, inquietante ben oltre la banale modestia di una puntura. Sono metallo, profilo d’orizzonte, natura rifatta con cui ci toccherà il braccio di ferro verniciato in carrozzeria. A loro, e solo a loro, dico: benvenute.

Nella foto “Tondo d’estate”, 2013. Bronzo, diametro 90 cm.
Mostra permanente da Arti<>sta